Come uso il corpo nell’incontro con l’altro? Che ruolo hanno la fisicità e il contatto nelle mie relazioni? Come esprimo la mia identità?

Queste sono solamente alcune delle domande inespresse che costellano la nostra mente.
Spesso infatti diamo poca o nessuna importanza a ciò che il corpo cerca di comunicarci, ma se ci fermassimo un attimo ad ascoltare resteremmo sorpresi da ciò che ha da dirci.

Cosa succederebbe se i nostri corpi riuscissero a parlare? Quali segreti svelerebbero senza che il cervello operi per inibirli? Senza il tabu legato alla parola?

Quante volte ci è capitato di sentirci nervosi, tesi, con i crampi allo stomaco o la nausea? E quante volte siamo riusciti a spiegarne il motivo a parole?

Nell’era della comunicazione ampio spazio viene dedicato ai processi di globalizzazione dell’economia e ai mutamenti tecnologici nell’ambito della comunicazione e dell’informazione, mentre si rischia di trascurare quella parte di comunicazione autentica esperibile attraverso il linguaggio del corpo.

Già gli antichi latini avevano individuato l’importanza della relazione mente-corpo con la famosa massima “mens sana in corpore sano”. Questi due elementi, infatti, sono indissolubilmente legati e in continua co-determinazione autopoietica, alla cura dell’uno è strettamente connesso il benessere dell’altro (Navazio, 2007).

La psicologia in senso stretto si occupa principalmente del benessere legato al primo elemento, la psiche, ma negli anni si sono sviluppate altre branche che pongono l’attenzione anche sul secondo aspetto, il corpo.
La psicologia dello sport, la mindfulness, la psicosomaticae la danza terapia sono solamente alcune delle discipline che mettono in risalto il potere del corpo.

La danza terapia, in particolare, usa il corpo come canale preferenziale della comunicazione, ponendo in secondo piano la parola fino ad ora primeggiante.
Il nome “Danza Movimento Terapia” (DMT), è stato coniato nel 1974 dall’American Dance Therapy Association (ADTA), che la definisce come una tecnica capace di accrescere il benessere della persona favorendone l’integrazione fisica ed emotiva (Cavallo, 2007). 

La DMT punta a coinvolgere l’individuo nella sua globalità, dandogli la possibilità di far interagire canali diversi per ristabilire un equilibrio armonico tra le varie parti di sé.

Partendo dall’osservazione dei benefici sul corpo e sulla mente derivanti dalle danze spontanee dei popoli primitivi, Rudolf von Laban (coreografo e ballerino russo e autore del sistema Labanotation), ha sperimentato tecniche di utilizzo della comunicazione non verbale decodificando il movimento come espressione delle emozioni e ponendo l’attenzione sui 4 elementi che lo definiscono: peso, spazio, corpo e flusso, che costituiscono il canovaccio su cui è possibile costruire le sessioni di DMT (Volpe, 2016).

Maria Fux, danzatrice e pedagogista argentina, sviluppò il suo omonimo metodo paragonando la danza ad un “ponte per andare incontro all’altro” e vedendola come naturale possibilità di integrazione e strumento capace di aumentare il benessere psicologico (Fux, 1991).  
Grazie all’utilizzo di stimoli sia interni che esterni (musica, oggetti, spazio, tempo), si ha la possibilità di sperimentare il movimento come forma di  liberazione e di conoscenza.
In un ambiente non giudicante i limiti degli altri ci svelano i nostri stessi limiti e ci danno la possibilità di prendere coscienza di ciò che è nostro e di come possiamo accettarlo o modellarlo.

“NON MI PIACCIO!”
Questa frase ce la siamo detti tutti almeno una volta.
Ogni giorno guardandoci allo specchio ci soffermiamo principalmente su quel difetto che proprio non riusciamo ad accettare.
E se lo guardassimo da una prospettiva differente? Se provassimo a cambiare il filtro che la società ci ha imposto e vedessimo quel difetto come una caratteristica personale e attraente?
La DMT si sofferma proprio sull’interpretazione, sui significati che diamo a noi stessi e a ciò che ci circonda, lavorando ad esempio sull’immagine di sé, l’autostima e la concezione di peso.
Il corpo viene usato per dar voce a ciò che siamo, per approfondire lo sviluppo dell’identità di genere, della sessualità e della crescita, per autodeterminarci, uscire dall’ombra e affermare il nostro diritto di essere noi stessi senza paura di essere giudicati e di non essere accettati.

L’utilizzo di questa pratica si è dimostrato efficace nel migliorare le relazioni con gli altri, implementare una maggiore consapevolezza corporea e fronteggiare momenti difficili e delicati come periodi stressanti, problemi di ansia, disturbi dell’umore, disturbi dell’infanzia, gestazione, problematiche di tipo psichiatrico, disturbi alimentari, problemi psicosomatici, dipendenza da sostanze, abusi o violenze.
Traendo ispirazione dalle pratiche della mindfulness, all’interno delle sessioni di DMT l’attenzione si concentra sul momento presente, sul “qui ed ora”.
Ci si dedica all’ascolto delle sensazioni corporee lasciando fuori le influenze esterne e il giudizio per trovare le risposte alle domande inespresse della nostra mente (Bulli, 2010).

La DMT nasce quindi come “Terapia” ma rappresenta anche uno spazio in cui è possibile sviluppare sensazioni di benessere, relax e distacco dagli eventi stressanti che nella quotidianità vengono affrontati da ciascuno di noi, dando voce non solo alla nostra parte cosciente ma anche a quella nascosta che il cervello è diventato così abile a mascherare.

“La danza non è tecnica, nè un modo di fare le cose, bensì un mezzo d’espressione che arriva più vicino di qualsiasi altro, al linguaggio intimo dell’uomo.” George Borodin.

Bateson, G., & Longo, G. (1988). Verso un’ecologia della mente (Vol. 17). Adelphi.

F. Bulli e G. Melli (2010), Mindfulness & Acceptance in psicoterapia. La terza generazione della terapia cognitivo-comportamentale. Firenze. Eclipsi.

Cavallo, M. (Ed.). (2007). Artiterapie. Tra clinica e ricerca. GAIA srl-Edizioni Univ. Romane.

Fux M. (1991). Formazione alla danzaterapia. Milano. Odos.

Mele, S. (2010). La relazione mente-corpo. Embodiment, mindfulness, neurofenomelogia. libreriauniversitaria.it.

Navazio, F. M., & Testa, M. (2007). Benefits of physical exercise. In Physiological basis of aging and geriatrics (pp. 393-404). CRC Press

Rosch, E., Varela, F., & Thompson, E. (1991). The embodied mind. Cognitive science and human experience. Cambridge.

Varela, F. J., Thompson, E., Rosch, E., & Blum, I. (1992). La via di mezzo della conoscenza: le scienze cognitive alla prova dell’esperienza. Feltrinelli.

Volpe, U., Facchini, D., Magnotti, R., Diamare, S., Denti, E., & Viganò, C. A. (2016). Le arti-terapie nel contesto della riabilitazione psicosociale in italia: una rassegna critica. Psichiatria e Psicoterapia35(4). fioritieditore.com.